Cos'è l'amore se non un continuo tenersi per mano?
«Ho avuto un terrore immenso…».
«Non pensarci, è tutto passato».
L’uomo le accarezza la mano, lentamente. Poi la stringe tra le sue e riprende a parlare.
«Ho veramente temuto di perderti, Anita. Paura che ci lasciassi soli!».
La donna lo guarda con l’espressione dolce nel viso ancora sofferente per l’operazione subita.
«Giò, sai che non l’avrei mai fatto: vi amo troppo per pensare di fare a meno di voi!».
Passano attimi di silenzio tra i due, mentre l’uomo, attraverso il casco di protezione, guarda con tenerezza sua moglie abbandonata in quel letto di ospedale, con gli aghi delle flebo inserite nel braccio, il ronzio sommesso delle apparecchiature che, dall’altra parte del letto, monitorano le funzioni vitali.
Nella sala di terapia intensiva solo un piccolo paravento divide il letto di Anita da quello degli altri pazienti e dai loro assistiti che, in quell’unica ora concessa alla visita dei parenti, siedono rassegnati o si muovono speranzosi parlando senza sosta a facce dall’aria un po’ spaesata, o guardando in silenzio occhi spenti che fissano il nulla.
Giò si agita sulla sedia facendo crepitare la tuta protettiva, poi posa la mano sinistra avvolta da un guanto trasparente sulla fronte della moglie, avvicinando il viso a quello di lei finché lo schermo in plexigas non le sfiora il naso.
«Non pensarci, è tutto passato».
L’uomo le accarezza la mano, lentamente. Poi la stringe tra le sue e riprende a parlare.
«Ho veramente temuto di perderti, Anita. Paura che ci lasciassi soli!».
La donna lo guarda con l’espressione dolce nel viso ancora sofferente per l’operazione subita.
«Giò, sai che non l’avrei mai fatto: vi amo troppo per pensare di fare a meno di voi!».
Passano attimi di silenzio tra i due, mentre l’uomo, attraverso il casco di protezione, guarda con tenerezza sua moglie abbandonata in quel letto di ospedale, con gli aghi delle flebo inserite nel braccio, il ronzio sommesso delle apparecchiature che, dall’altra parte del letto, monitorano le funzioni vitali.
Nella sala di terapia intensiva solo un piccolo paravento divide il letto di Anita da quello degli altri pazienti e dai loro assistiti che, in quell’unica ora concessa alla visita dei parenti, siedono rassegnati o si muovono speranzosi parlando senza sosta a facce dall’aria un po’ spaesata, o guardando in silenzio occhi spenti che fissano il nulla.
Giò si agita sulla sedia facendo crepitare la tuta protettiva, poi posa la mano sinistra avvolta da un guanto trasparente sulla fronte della moglie, avvicinando il viso a quello di lei finché lo schermo in plexigas non le sfiora il naso.
Riconoscimenti conseguiti