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PROLOGO
L’Angelo volava su tra le nubi scure, una macchia indistinta nel grigiore nebuloso di quel vapore condensato che, come una massa filiforme spinta dalle correnti d’aria, impediva alla luce del sole del pomeriggio di una giornata tardo invernale, compatta com’era, di filtrare in basso. Solo alcuni raggi, passando attraverso le piccole aree meno dense del corpo nuvoloso, si proiettavano verso la terra come giganteschi fasci luminosi concentrati a restituire un po’ di colore alla superficie del pianeta in cammino verso il crepuscolo. Anche se per millenni l’essere celestiale era stato dipinto con un corpo asessuato e perfetto abbellito da due imponenti paia di ali, in realtà l’Angelo non possedeva un corpo solido quando eseguiva i suoi spostamenti, non volava cioè sbattendo le ali o planando come un aliante che sfrutta, per mantenersi, il sostegno dell’aria; e per muoversi le correnti. Era pura sostanza, qualcosa che non si poteva descrivere né studiare con le leggi della fisica conosciute dagli uomini; e come tale, come essenza fatta di pura energia, scivolava senza sforzo attraverso qualsiasi cosa, mischiandosi alle molecole e agli atomi senza da essi, però, esserne minimamente intaccato. Questo, almeno, finché non decideva, per assolvere il suo compito, di prendere forma concreta, di mischiarsi alla vita che aveva il compito di seguire, guidare e, se possibile, proteggere. In tal caso tutto quello che possedeva e che poteva eseguire, tutto il potere che gli era stato donato dall’inizio del Tempo, era limitato dalle leggi della Realtà in cui doveva mischiarsi, perché a nessuno di loro poteva essere consentito di farne un uso indiscriminato. Rimanevano, a quelli come lui, solo la capacità di comprensione, la fievole ma potente forza dell’illuminazione e qualche altro stratagemma che, come abili prestigiatori che per eoni avevano avuto modo di perfezionare, permettevano loro di svolgere nel migliore dei modi la missione assegnata. L’Angelo era conscio di quale fosse il suo compito e, naturalmente, non poteva sottrarsi a quello che noi umani avremmo definito come un preciso incarico; inoltre, non aveva la facoltà di scegliere dove e quando portarlo a termine e, soprattutto, almeno all’inizio, ignorava verso chi o cosa rivolgere le proprie attenzioni. Per questo, da quando a molti di loro era stato affidato quel pianeta, si spostava veloce sfruttando la leggerezza dell’atmosfera che lo circondava, badando a non tradire la propria presenza in nessun caso: già troppi avevano sbagliato in passato sulla Terra; e solo Dio sapeva chissà quanti altri di loro avrebbero continuato a commettere errori in futuro. Dio…! Una parola che non gli diceva niente ma che, ormai, a furia di sentirla ripetere tante volte dagli umani, non lo meravigliava più sentendola pronunciare. Sapeva che con questo termine solevano indicare l’Entità che aveva deciso tutto; e che tale parola cambiava secondo il raggruppamento umano che occupava una parte del pianeta. Come potevano pensare solamente di etichettare qualcosa che sfuggiva anche alla propria capacità di discernimento, di relegarlo a un qualcosa cui si potesse dare aspetto? Perché, in fondo, assegnare un nome a qualcosa è pur sempre un cercare di portarlo nella sfera della propria comprensione. E di questa necessità, la moltitudine brulicante e dotata d’intelletto che viveva su quel granello di polvere sperduto nell’Universo aveva sempre avuto un disperato bisogno. Tanto pressante da sostituirsi a tutto mentre, invece, doveva permeare quel “tutto” per dare un valore accettabile al concetto stesso di esistere. Con un pulsare di energia, l’Angelo allontanò queste forme fluttuanti di pensiero mentre sfruttava l’energia di una corrente ascensionale per spingersi all’interno di un ammasso nuvoloso scuro, foriero di pioggia, lassù tra quei cieli che avevano un colore strano cui non era tanto abituato. E questo, sempre se si può attribuire a un essere senza tempo il concetto limitato dell’abituarsi a un qualcosa. Era passato già quasi un mese terrestre da quando aveva portato a termine la sua ultima missione: di questo era consapevole pur non avendo uno strumento prefissato per misurare il passaggio del tempo. E per tutto quel tempo aveva fluttuato, non avendo gli esseri come lui la possibilità di fermarsi a… far cosa, poi? Riposarsi, tirare il fiato, riflettere? No, loro dovevano muoversi incessantemente perché la loro stessa ragione di esistere era dettata solo ed esclusivamente dall’esecuzione dei compiti loro assegnati. Qualunque essi fossero stati. Ora, sotto di sé, non c’era più la massa liquida che gli umani chiamavano mare, bensì la terra multicolore che l’aveva affascinato sin dal primo momento in cui era stato assegnato al terzo corpo celeste che girava intorto a quella piccola stella giallastra, sperduta alla periferia della galassia che gli umani avevano chiamato Via Lattea. Si soffermò a pensare alla prima volta che vi era giunto in un tempo così lontano che quasi non ne aveva più che un ricordo labile, l’incontro con i suoi simili dispersi ai quattro angoli del globo intenti a portare a compimento quel disegno che mirava a dare un significato al caos, a spargere quel seme di consapevolezza che rendeva cosciente anche la più infima delle creature. Pensò a tutti quei volti che aveva conosciuto, alle innumerevoli sembianze che aveva acquisito… E questo, perché, una delle poche Leggi cui doveva ubbidire era proprio quella di prendere su di sé gioie e dolori, speranze e delusioni delle creature viventi di cui assumeva la forma, limitandosi volontariamente in un corpo materiale soggetto allo scorrere del tempo almeno finché quello che doveva portare a compimento non fosse concluso, qualunque fosse stato comunque l’esito finale. Ripensò a quelle strane correnti interne al suo spirito che aveva sperimentato e che erano indicate col termine di emozioni dalla razza sensiente che dominava il pianeta, sconosciute a quelli della sua specie. E di come si fosse sentito a volte fiero del compito di cui era investito; altre volte, invece, deluso dagli insuccessi che, purtroppo, aveva riportato. Improvvisamente, un raggio di sole più fulgido degli altri si aprì la strada tra lo strato quasi compatto di nuvole strappandolo al suo turbinare di pensieri, scendendo giù dritto come una lama a circoscrivere in un ampio cerchio la terra che scorgeva in basso, esaltando la tavolozza di colori data dalle tinte brune dei campi, dal verde della vegetazione e dal blu intenso del mare che scorgeva in lontananza. E capì che il tempo di volare era finito: ora era giunto il momento di scendere, di posarsi al suolo, di entrare nuovamente in contatto col mondo complesso degli umani. E, anche se ancora ignorava quale fosse, sapeva di avere finalmente trovato un’altra missione da compiere. E un Illuminato da cercare. Premi conseguiti
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