Perché quell'uomo misterioso che si crede uno strumento di Dio è così attratto dal Male da volerlo combattere con tutte le sue forze?
È da due anni che ho scelto di vivere a Faeto, in questo paesino che ha meno di mille anime e che prende il nome dalle estese faggete sui rilievi della Daunia.
L’ho preferito ad altri perché è a cavallo tra il tutto e il nulla, nascosto alla vista fin quando non ci capiti quasi addosso, facilmente raggiungibile se si ha la pazienza di guardare oltre il limite fisico dell’autostrada, oltre le pale eoliche che sembrano guerrieri pigri, sentinelle poste di guardia alle curve di un rilievo che tarda a farsi montagna.
Volevo assaporare lontano dal frastuono delle città la solitudine che accompagna la mia vita sin da quando sono venuto al mondo, ormai tanti anni fa, abbandonato davanti alle porte di quella casa per religiosi in una fredda mattina di gennaio.
Il mio documento, quello nascosto dove nessuno può trovarlo, riporta i dati che i monaci dichiararono a suo tempo: Michele Laudadio, nato a Firenze nel 1968 da genitori sconosciuti, età 54 anni, occhi castani, capelli scuri (ormai in parte persi). Oltre agli occhiali, però, il documento d’identità non riporta tra i segni particolari quella strana cicatrice rettangolare della pelle nella parte dorsale, proprio al centro all’altezza delle scapole; e nemmeno la voglia che ho sul bicipite sinistro, quella che sembra un tatuaggio e che riproduce una M e una A intrecciate.
Per anni le ho avute senza sapere perché, ignorando anche il nome di chi aveva messo al mio polso da neonato quel sottile braccialetto d’oro, recante una targhetta che riportava un unico nome: Michele.
L’ho preferito ad altri perché è a cavallo tra il tutto e il nulla, nascosto alla vista fin quando non ci capiti quasi addosso, facilmente raggiungibile se si ha la pazienza di guardare oltre il limite fisico dell’autostrada, oltre le pale eoliche che sembrano guerrieri pigri, sentinelle poste di guardia alle curve di un rilievo che tarda a farsi montagna.
Volevo assaporare lontano dal frastuono delle città la solitudine che accompagna la mia vita sin da quando sono venuto al mondo, ormai tanti anni fa, abbandonato davanti alle porte di quella casa per religiosi in una fredda mattina di gennaio.
Il mio documento, quello nascosto dove nessuno può trovarlo, riporta i dati che i monaci dichiararono a suo tempo: Michele Laudadio, nato a Firenze nel 1968 da genitori sconosciuti, età 54 anni, occhi castani, capelli scuri (ormai in parte persi). Oltre agli occhiali, però, il documento d’identità non riporta tra i segni particolari quella strana cicatrice rettangolare della pelle nella parte dorsale, proprio al centro all’altezza delle scapole; e nemmeno la voglia che ho sul bicipite sinistro, quella che sembra un tatuaggio e che riproduce una M e una A intrecciate.
Per anni le ho avute senza sapere perché, ignorando anche il nome di chi aveva messo al mio polso da neonato quel sottile braccialetto d’oro, recante una targhetta che riportava un unico nome: Michele.
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